Domenico Caracciolo

(Malpartida de la Serena, de Bodajoz (Spagna) 12 ottobre 1715 – Napoli, 16 luglio 1789)

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Domenico Caracciolo fu figlio cadetto del II Marchese di Villamaina Tommaso Caracciolo e della Spagnola Donna Maria Alcantara Porras y Silva. Egli non nacque a Villamaina ma in Spagna, nella villa di Malpartida de la Serena, dove il Padre, marchese di Villamaina e Capriglia si trovava a seguito del reggimento reale di Cavalleria guidato da Virginio Colonna. Non abbiamo notizie certe sulla sua infanzia e sulla sua adolescenza. Le ipotesi sono due ed entrambe verisimili: fu educato alle umane lettere e al latino per una prima alfabetizzazione da Don Stefano Pizzuti, colto sacerdote di Villamaina, e poi, come sostengono altri studiosi, tra cui anche Benedetto Croce, fu educato in Napoli nel Collegio detto dei Caracciolo. Se non da subito è comunque certo che il Marchesino di Villamaina si recò in Napoli ad intraprendere i suoi studi economici e giuridici. La sua grande statura intellettuale cominciò a delinearsi subito grazie
al suo eccellente maestro: il Genovesi. Non pochi sacrifici in Napoli dovette sostenere per la verità sia da
studente che da giovane avvocato. A causa delle povere condizioni economiche del piccolo feudo
irpino, Domenico fu costretto in giovane età a fare il mestiere di “paglietta” nel Tribunale di Napoli, cioè a professare a livello più umile il mestiere di avvocato. Non questo lavoro tuttavia, ma quello di funzionario diplomatico avrebbe conferito al nostro gli onori della fama e della gloria. Seppur nominato Giudice di Vicaria in Napoli, Domenico accettò con piacere il primo incarico diplomatico: un viaggio a Parigi e Madrid nel 1752. Da questo momento in poi la sua carriera diplomatica fu tutta un
crescendo. Già nel 1754 fu ambasciatore supplente in Parigi e da Parigi, con lo stesso incarico, passò poi a Torino. Quindi con l’incarico di inviato straordinario fu a Londra rimanendovi fino al 1771. Il 21 Agosto di
quell’anno moveva alla volta di Parigi con l’incarico di ambasciatore titolare. Gli anni europei furono per Caracciolo fervidi di incontri e conoscenze di altissimo livello. Basterà fare dei nomi per rendersene conto:
si legò in amicizia a Vittorio Alfieri che nella sua autobiografia lo definisce “uomo di alto, sagace e faceto ingegno” confessando che nei propri confronti il C. fu “più che padre in amore”. È stata inoltre rinvenuto e di recente studiato dal Prof. Pier Carlo Masini di Pisa,1 un carteggio segreto tra i due illustri amici in cui si toccavano temi e questioni scottanti per l’epoca quali la libertà di culto, l’anticolonialismo ecc. Per sfuggire alla censura, i due nobili italiani utilizzarono lo stratagemma della firma anagrammata. Vittorio Alfieri si firmò sempre nelle sue lettere al Caracciolo Conte di Rifiela e Caracciolo si firmò sempre come Marchese di Licciocara anziché di Villamaina. (Melzi, Catalogo di opere anonime e pseudonime). A parte quella di Vittorio Alfieri sono più che documentate molte altre celebri amicizie del nostro marchese: anche il famoso Giacomo Casanova intrattenne un ottimo rapporto di amicizia col Caracciolo che incontrò più volte nelle sue peregrinazioni europee. Casanova definisce Caracciolo un uomo sagace, allegro con cui era amabilissimo conversare di tutto. Durante la sua permanenza a Parigi il Caracciolo ebbe modo, inoltre, di stringere amicizia con molti degli enciclopedisti francesi. Fu intimo di Voltaire, Diderot e D’Alembert. Conobbe d’Holbac. Il nostro marchese fu personaggio assai benvoluto dalla nobiltà transalpina.

Riportiamo a seguito qualche giudizio raccolto qua e là su di lui.

Il duca di Levis, frequentatore, assieme al Caracciolo dei salotti parigini, alla di lui partenza lo ricordava quasi con rimpianto: “Non c’è mai stato un uomo più dinamico e più brillante di questo italiano: egli aveva l’energia di quattro uomini e la capacità di operare di otto; egli aveva un modo originale divedere e di sperimentare le cose.”.

Così invece Marmotel: “era come se da lui sprizzassero scintille, e la sua naturalezza di espressione, il fascino del suo sorriso e la sensibilità del suo sguardo formavano un insieme che dava un carattere affabile, intelligente ed interessante. Aveva qualche difficoltà a parlare la nostra lingua, ma era eloquente nella sua, e quando il termine francese gli sfuggiva ne prendeva qualcuno in prestito dall’italiano. Così ad ogni momento arricchiva il suo linguaggio di mille e pittoresche espressioni che destavano la nostra invidia…a Parigi tutti desideravano l’amicizia del marchese di Villamaina”. Sono tutti giudizi conseguenti alla partenza del Caracciolo dalla città. Nel 1780, infatti, Ferdinando IV di Borbone lo nominò Viceré delle Sicilie e Caracciolo, con sommo dispiacere, fu costretto a lasciare Parigi e la sua carica di ambasciatore per un incarico di più alto prestigio ma molto più complicato. Il nostro Marchese sbarcò a Palermo con molto indugio solo la sera del 14 Ottobre 1781. L’opinione pubblica che non si aspettava da lui nulla di particolare è tutta racchiusa nell’espressione del Villabianca: “si farà i fatti suoi e si godrà una vecchiaia tranquilla”. Non fu così. Tre giorni dopo il suo arrivo sull’isola, il marchese di Villamaina fu investito della carica di viceré della Sicilia. Era il 17 ottobre del 1781 e Caracciolo andava a ricoprire quella che si può ritenere la più alta carica del regno dopo quella regale. Ora, sarebbe forse troppo monotono elencare le tappe dei sei anni di Viceregno in Sicilia. Si dica solo che il Marchese di Villamaina giunse sull’isola con un programma non troppo preciso: quello di limitare gli abusi del potere baronale ed ecclesiastico sulla povera plebe. Tra le altre cose Caracciolo fu autore di alcune Riflessioni sull’estrazione dei frumenti delle Sicilie in cui si descrive una spaventosa realtà: tutta la ricchezza dell’isola era concentrata nelle mani di pochi possidenti terrieri che affamavano la plebe. Al Caracciolo, imbevuto fino al midollo delle idee degli illuministi francesi, questa situazione non poteva proprio andare a genio. Il marchese di Villamaina fece discutere fin da subito l’opinione pubblica siciliana. Nella cerimonia ufficiale della sua investitura nel duomo di Palermo, contrariamente alla consuetudine che proclamava la pari dignità tra monarchia e clero, si scoprì il capodavanti all’arcivescovo che gli dette l’incenso. L’episodio suscitò le più grandi maldicenze e fece subito luce in merito al suo intento anticonformista e riformatore. Un altro “simpatico” aneddoto che abbiamo rinvenuto è quello relativo alla tassa sulle carrozze del 1782. Col pretesto di raccogliere fondi per far rilastricare le strade di Palermo, Caracciolo istituì una tassa di tre once all’anno su ogni carrozza. Immaginate un po’ come poté reagire la nobiltà siciliana alla notizia, dal momento che ovviamente la tassa ricadeva al 100% sui nobili. Dopo mille polemiche a denti stretti tutti cominciarono a pagare, solo una certa marchesa di Geraci, sbandierando gli antichi privilegi respinse con sdegno l’imposta moderna. Dopo qualche giorno degli agenti militari del Caracciolo abbatterono il portone di una delle più blasonate casate di Palermo e ne uscirono con la sontuosa carrozza della nobildonna che Caracciolo aveva fatto sequestrare! Molti furono quel giorno i commenti e i brulichii di voci a Palermo. Il popolo ne fu divertito, la nobiltà incassò il colpo, lo interpretò come un grave affronto subito e porse reclamo al Re. Ma la presa di posizione più grossa del villamainese fu quando nel 1783 compì l’atto più impopolare del suo viceregno ordinando che i festeggiamenti patronali in onore di Santa Rosalia a Palermo da cinque fossero ridotti a tre giorni. È inutile dire che fu minacciato di morte nel suo stesso palazzo e dovette intervenire il Re in persona ad annullare l’ordine di Caracciolo. Il marchese di Villamaina si attirava ogni giorno di più le antipatie dei nobili siciliani con atti eclatanti e di inaudita appariscenza. Per questa ed altre prese di posizione, nonché per situazioni contingenti, il Re fu costretto a richiamarlo a Napoli con l’importante ruolo di Primo Ministro del Regno. Non ci addentreremo nel periodo conclusivo della sua esistenza, riservandoci ad altro luogo e tempo l’approfondimento della biografia del nostro. Si dica solo che anche a Napoli Caracciolo si distinse per importanti riforme soprattutto sul piano economico e culturale: abolizione della chinea, vari trattati commerciali, riforma dell’Istruzione pubblica, rinascita dell’Accademia ercolanese, riforma delle Poste. La sua vita volgeva però alla fine. Caracciolo morì in Napoli il 16 Luglio del 1789. Si favoleggiò in città che fosse morto per la sorpresa e lo sgomento che gli provocò la notizia della presa della Bastiglia e dello scoppio della Rivoluzione Francese. Questo nessuno storico potrà mai provarlo. È certo invece che il nostro marchese era stanco e provato perché in una delle sue ultime lettere al Re, aveva espresso il desiderio di potersi ritirare a godere di una meritata pensione in un suo feudo nei pressi di Napoli. Niente di più probabile che avesse scelto la sua Villamaina, allora in gestione del nipote Carlo Maria, figlio del fratello Tommaso, cui sarebbe toccata alla morte del nostro, la piccola terra irpina.


NICOLA TRUNFIO